sabato 27 settembre 2008

non mi chiamo natasha


MENOTRENTUNO


DANA POPA - NON MI CHIAMO NATASHA


Quello che si intraprende dietro le tracce del traffico umano è un percorso senza alcuna indicazione. Si avanza seguendo non mollichine di pane ma le lacrime silenziose che le donne lasciano dietro di se prima di sparire nel buio, nelle vie misteriose del mercato del sesso.La prostituzione è una realtà vecchia come il mondo, un problema di cui si discute spesso, ma il punto di vista è sempre uno solo: quello degli abitanti dei quartieri, solitamente periferici, che da queste donne si sentono offesi e minacciati. Ma di queste ragazze nessuno, o quasi, parla mai: dei corpi appassiti in fretta, dei sogni che le hanno portate dove sono ora, nessuno chiede, nessuno sa.La maggior parte di loro proviene dall'est. In migliaia cercano di fuggire da una delle economie più povere d'Europa. Ammaliate dalla televisione e dai racconti che dipingono un occidente opulento, sognano un lavoro onesto in un paese ricco. Sono donne colte, fiere, abituate al dolore, al sacrificio. Spesso si affidano ad agenzie fintamente professionali e partono per poter aiutare la famiglia che lasciano a casa. Altre, invece, dolore ancor più terribile, vengono vendute dalle persone che amavano, di cui si fidavano: madri, padri, fidanzati nella loro giovinezza hanno visto ricchezza. Il prezzo di una ragazza può variare dai 200 ai 2000 dollari..., dipende dalla sua bellezza. La stessa bellezza che in occidente viene usata per facilitare carriere nello show business, per queste ragazze diventa una maledizione, un male da estirpare prima possibile. Cadute nelle mani degli sfruttatori, perdono la loro vita, cancellano l'identità e diventano Natasha, tutte. Un nome semplice che identifica un mestiere oscuro.Parlare di queste storie è complicato, più di quanto si pensi. La commercializzazione di un essere umano, la mercificazione di un corpo, pagare per un atto che dovrebbe essere naturale e reciproco dono risveglia contraddizioni, indignazione e dolore a cui non si sa mai bene che nome dare. È difficile. Forse per una donna lo è ancora di più: è faticoso non identificarsi con le voci delle ragazze che raccontano di un'adolescenza vissuta in un modo per noi inimmaginabile; è arduo non scivolare nei luoghi comuni della denuncia e del giudizio.A queste storie manca la semplicità della normalità, della verità, dell'evidenza. Manca uno sguardo che ridoni dignità, concentrandosi non sullo squallore del "mestiere" ma sul "dopo", sul tentativo di ripartire, di essere solo delle ragazze.La semplicità è l'arma di Dana Popa che da donna racconta, con le sue fotografie, la vita di altre donne. Ritrae ragazzine che potrebbero abitare qualsiasi provincia del mondo; giovani madri che ripetono i gesti che ogni madre conosce. Con delicatezza entra nelle loro camere da letto; guarda nei loro occhi che tentano di sorridere di nuovo; indaga i loro corpi offesi. Usa la fotografia come unico mezzo, analitico e delicato insieme, capace di certificare e ricordare. Perché il delirio vero non è quello di queste giovani donne, ma quello di chi finge di non sapere, di chi crede bastino poche parole per spiegare, inquadrare e dimenticare.Donna tra donne, la fotografia è protagonista quanto i volti delle ragazze, è lo strumento che ha accompagnato Dana Popa nel racconto del triste cammino di tutte le giovani Natasha perse per le strade del mondo.


Sonia Borsato


Dana Popa è nata in Romania, 1977

CONTATTI
danapopas@gmail.com

1 commento:

Anonimo ha detto...

Spero che con le foto di Dana Popa l'ignoranza della gente (non coinvolta nella tragedia del traffico umano) sparirà e al posto suo nascerà la comprensibilità per le sorte di queste donne.